L'efficienza di Gradisca come struttura difensiva dell'lmpero fu sperimentata per la prima volta nella guerra che la Repubblica di Venezia scatenò contro gli Asburgo nel 1615, detta «guerra gradiscana» proprio perché si svolse in gran parte attorno alla fortezza, che costituiva il vero obiettivo degli aggressori, anche se ufficialmente il conflitto era sorto a causa di azioni piratesche compiute in Dalmazia contro le navi venete.
Fallito ogni tentativo diplomatico, il Senato veneziano risolse di muovere guerra aperta alI'arciduca Ferdinando, nella convinzione di poter avere senz'altro la meglio, sia per la superiorità marittima, sia per il possesso della nuova fortezza di Palma, eretta nel 1593. L'inizio della campagna fu favorevole, in effetti, a Venezia, che riuscì ad occupare in pochissimo tempo la campagna attorno a Gradisca e ad isolare la fortezza dove nel frattempo, come riferisce il Morelli, grande storico della contea goriziana, il Capitano Riccardo di Strassoldo “pose ogni cura e sollecitudine onde ridurre la piazza a sostenere una valida difesa”.
I Veneti avevano posto il quartiere generale nella località di Mariano e costruito numerosi fortini sparsi sia nella campagna ad ovest di Gradisca, sia sulle alture carsiche, fino a controllare la piazza praticamente da ogni parte.
A loro volta gli austriaci provvidero non solo a rafforzare, come si è detto, le strutture difensive (costruirono anche delle palizzate di protezione davanti al fossato che circondava le mura) ma anche a garantirsi i collegamenti esterni tenendo sotto controllo la parte del fiume, verso la quale aprirono un piccolo varco per poter fare entrare i viveri e rinforzi di truppe.
Con un massiccio impiego di uomini e mezzi, i Veneti riuscirono a portare l'artiglieria pesante e leggera a pochissima distanza dalle mura, scavando persino dei «ridotti» per le postazioni da fuoco collegati da trincee e protetti da terrapieni.
Conclusi i preparativi «alli 5 di marzo—racconta Faustino Moisesso, principale cronista della guerra (qui si può leggere la sua Historia dell'ultima guerra in Friuli) —sei ore innanzi al giorno si cominciò a tirare con istrepito spaventoso con le colubrine nelle case e co' cannoni nella muraglia e nella porta, che era tra i due torrioni, la quale da quei di dentro non solamente era stata chiusa, ma terrapienata con montagne di terra e resala impraticabile. Avevano aperto per sortire nelle opportunità addosso all'inimico, come a soccorrere il rivellino, un usciolo segreto, che sboccava in un ramo del Lisonzo, il quale lentamente correndo ingorgavasi sotto alle mura. Ed era stata fatta una strada coperta nella quale da quella porticella sbarcavansi i soldati, che uscivano al rivellino e altrove».
Risposero prontamente al fuoco gli arciducali che disponevano, tuttavia, a quanto dice lo stesso scrittore, di pochi pezzi di artiglieria, cinque o sei in tutto, (di cui uno, la colubrina chiamata «Cerbero», che sparava dal Castello, era stata dei veneziani) che ridussero coll'andare dei giorni, il ritmo dei tiri. Accortisi di ciò, i Veneti si illusero di prendere facilmente e presto la fortezza, anche perché dall'interno giungevano notizie, riportate da spie o prigionieri, di una grave carestia e di una preoccupante scarsità di uomini.
La resistenza fu invece molto lunga nonostante il massiccio bombardamento veneto, e determinò la convinzione che Gradisca in realtà fosse imprendibile, almeno con i mezzi fino ad allora impiegati. Furono tentati anche degli assalti alle mura, senza alcun risultato. Alla fine i veneti, dopo alterne vicende, dovute anche al cambiamento dei comandanti, desistettero e l’assedio fu tolto.
Questo conflitto, che può considerarsi l'episodio militare più importante della storia di Gradisca, aveva rivelato anche i pregi e i difetti della fortezza come «strumento» di difesa militare e, se la vicinanza del fiume, che era stata determinante nella scelta del sito, continuava ad essere una protezione — poiché impediva l’accerchiamento della città e consentiva di accedervi anche durante gli assedi — uno svantaggio era rappresentato dalla vicinanza delle alture carsiche, dalle quali, come era avvenuto durante la guerra, si poteva agevolmente bombardarla, specie con le artiglierie più perfezionate. Chi controllava la fortezza, dunque, doveva assicurarsi anche l'altipiano.
Per contro, la natura rocciosa del terreno la rendeva imprendibile con gli antichi sistemi delle brecce e dei cunicoli, per cui era inutile attaccarla «dal basso».
Da queste vicende Gradisca ricavò grande fama, rafforzata in seguito, quando da città militare divenne capoluogo di una contea principesca.
La guerra aveva procurato alla fortezza danni ingentissimi e l'opera di restauro apparve subito imponente. A quanto riferisce il Moisesso, l'assedio aveva colpito quasi tutte le case «delle quali ne dirupò alcune totalmente, altre ne guastò grandemente, e tutte le sforacchiò e le sbocconcellò, resele malcomode e pressoché inabitabili nelle parti di sopra, non solo per le rotture come per il pericolo della rovina».
Anche se si era conclusa col mantenimento della situazione precedente, la guerra gradiscana ebbe comunque gravi conseguenze politiche ed economiche, da cui l'Impero faceva fatica a liberarsi, anche perché nello stesso periodo era impegnato nell'ancor più onerosa guerra dei Trent'anni. Cercò di approfittarne la Repubblica di Venezia offrendo ripetutamente alla Casa d'Austria ingenti somme di denaro per riacquistare la fortezza che non era riuscita a prendere con le armi.