Nei primi cent'anni della dominazione austriaca Gradisca svolse effettivamente il ruolo di piazzaforte, come dimostrano in particolare i fatti della cosiddetta "Guerra gradiscana" che sconvolse il suo territorio tra il 1615 e il 1617. Malgrado ciò, proprio a partire dalla seconda metà del '500, a Gradisca si affermò un nuovo assetto sociale, più variegato dell’originario insediamento militare e più legato al territorio; questo avrebbe portato, nel secolo successivo, soprattutto in virtù della conquista dell'autonomia determinata dal passaggio agli Eggenberg e dall'assenza di guerre, ad un consistente sviluppo economico e alla trasformazione progressiva della fortezza in una nobile cittadina residenziale.
Ben poco rimane di ricordi della società del tempo: delle pur numerose famiglie aristocratiche che si erano costruite i loro palazzi lungo le "rughe" venete, non rimangono tracce significative. Delle collezioni d'arte e di arredi che verosimilmente ornavano queste residenze secondo modelli che tuttora sono documentati in tante case patrizie del territorio friulano, nulla è dato sapere. Troppo tempo ci separa dall'epoca in cui i palazzi erano abitati dai loro proprietari e questi erano classe dominante: ai fasti del Sei e Settecento è seguita, dall'Ottocento in poi, una lunga fase di abbandono e decadenza, conclusa tragicamente dalle devastazioni della prima guerra mondiale.
Qualsiasi frammento della scarsissima iconografia gradiscana assume, pertanto, un valore particolare e va esaminato con attenzione anche a prescindere dai meriti artistici. Un caso interessante è costituito dai cosiddetti Ritratti Corona, databili agli anni tra la fine del '500 e l'inizio del '600. Giovanni Battista e Terenzia Corona, considerati importanti fino ad ora soltanto per essere stati i benefattori del Pio Ospitale gradiscano, (a cui, nel 1627 lasciarono in eredità la loro casa ubicata nella “Ruga Catalana”, oggi via Bergamas) sono in realtà anche due rappresentanti emblematici di quella nobiltà cinquecentesca che si insediò a Gradisca, dalla conquista austriaca in poi, con compiti specifici nell’amministrazione militare della fortezza. I loro ritratti forniscono, dunque, molti elementi utili per capire la classe a cui appartengono, e, forse, anche un’intera epoca.
Nel caso di Giovanni Battista Corona, un ritratto tipico di questi anni di transizione che trova innumerevoli modelli nella pittura del ‘500, viene evidenziata soprattutto la sua condizione di uomo d'arme (era capitano delle milizie urbane): basta la luccicante superficie del "corsaletto" bombato, benchè ingentilito dal colletto bianco e dagli ampi calzoni, a definirne il ruolo sociale. Tuttavia ci sono anche altri elementi di conoscenza della sua personalità: se l'immancabile cagnolino dei ritratti cinque-seicenteschi ne sottolinea la componente umana e domestica, lo sguardo attento o, forse, sospettoso, e le mani che stringono entrambe l'impugnatura delle armi, ci rassicurano sulle qualità necessarie ad un comandante.
Terenzia Corona è l'unica nobildonna gradiscana di cui ci sia rimasto il ritratto, ma ci trasmette un messaggio di austera eleganza che probabilmente era lo stile di tutte le donne del suo rango. L'espressione severa e un po' malinconica non riesce a sminuire la bellezza del volto, caratterizzato da lineamenti delicati e grandi occhi azzurri, valorizzati ed esaltati, allo stesso modo della capigliatura bionda raccolta sulla nuca, dal grande colletto bianco inamidato di foggia tipicamente seicentesca. La donna porta un abito scuro e pesante (in linea con la moda sobria e castigata diffusa in Europa dalla Controriforma) ingentilito, però, dalle guarnizioni in pizzo finissimo della pettorina e dei polsi. Un ricco corredo di gioielli, formato da un bel girocollo in perle, tre lunghe catene d'oro, bracciali ed anelli testimonia le condizioni di agiatezza della famiglia e il gusto ricercato della padrona di casa.
Anche un busto in marmo conservato nel palazzo de Fin- Patuna ci fornisce notizie sull’abbigliamento femminile del Seicento: la dama non è identificata ma è vestita molto sfarzosamente con un abito fittamente ricamato e arricchito da un collo alto e diritto, mentre il viso è incorniciato dal consueto collare irrigidito da fitte piegoline.
Ma non sono solo l'eleganza e il lusso a caratterizzare la nobiltà gradiscana del Seicento. A tale riguardo non possiamo non ricordare la citazione del coraggio delle dame gradiscane fatta dallo storico Biagio Rith, che racconta come, nel 1616, le "dame principali" della città, come la baronessa Elisabetta di Strassoldo, moglie del governatore, la contessa Torriana della Torre, vedova Lantieri "ed altre nobili donne" gradiscane avessero prestato un aiuto fondamentale ai loro uomini durante l'assedio di Gradisca.